La nostra chiamata di metà dicembre per una riscoperta dell’investimento in Europa nasceva da una forte retorica negativa di mercato, strettamente legata al posizionamento. Oggi, in così poco tempo, ci troviamo con l’Eurostoxx 50 in rialzo del +13% rispetto a poco prima di Natale, vicino al massimo storico raggiunto 25 anni fa, il 14 marzo 2000. Si tratta, dunque, di un momento di grande rilevanza per i mercati.
L’indice ha sovraperformato significativamente l’S&P 500 con un +9% da inizio anno in dollari. Ancora più rilevante è il fatto che questa crescita abbia coinvolto un’ampia gamma di titoli e settori, a differenza di quanto avvenuto negli ultimi due anni negli Stati Uniti, dove i rialzi sono stati fortemente concentrati nei cosiddetti Mag7.
I volumi che hanno accompagnato il movimento europeo sono stati superiori del +45% rispetto alla media stagionale. Nella prima fase, l’attività si è concentrata soprattutto sui futures, con i fondi Macro e Sistematici che sono passati rapidamente da net short a quasi massimo long, con oltre 6 miliardi di euro di acquisti sul future dell’Eurostoxx50. Tuttavia, nelle ultime due settimane, i fondi globali hanno iniziato a preferire basket tematici più specifici, come quelli legati alla ricostruzione in Ucraina o ai titoli domestici tedeschi, destinati a beneficiare dell’aumento del tetto del debito e dei nuovi progetti per stimolare la crescita.
Un aspetto critico rimane la liquidità. Pochi sanno, ad esempio, che acquistare futures o opzioni sull’indice MDAX (che rappresenta le società a media e bassa capitalizzazione in Germania) richiede notevole pazienza a causa della scarsa liquidità. Se gli indici europei hanno già registrato un notevole re-rating, manca ancora del tutto la seconda fase di questo movimento sulle mid e small cap. Basta pensare all’impatto che potrebbero avere acquisti consistenti da parte di fondi internazionali di grandi dimensioni sui prezzi di questi titoli.
L’Europa ha beneficiato anche della stagione delle trimestrali, ancora in corso. Finora, il 70% delle aziende ha superato le previsioni sui ricavi e, mantenendo questo ritmo, si potrebbe confermare la migliore stagione degli utili degli ultimi sette anni. Anche negli Stati Uniti si registrano numeri positivi, contribuendo all’allargamento del breadth che avevamo previsto come prossimo trend.
Un fenomeno interessante riguarda le Mag7: escludendo Meta, che è salita del +25% da inizio anno senza mai correggere in un solo mese, le altre stanno faticando e risultano negative YTD. Uno dei motivi di questa sottoperformance è il massiccio livello di investimenti in AI. Le prime quattro aziende del gruppo hanno annunciato un incremento medio del 50% nei capex, per un totale già vicino ai 300 miliardi di dollari solo da inizio anno.
Il tema Tech e AI, come discusso nell’ultima analisi, sta ora coinvolgendo un numero sempre maggiore di titoli e settori, supportando anche la Cina. Gli investitori sono rimasti sorpresi dal potenziale di Deepseek e delle piattaforme open-source, oltre che dalla recente partnership tra Apple e Alibaba, che sta contribuendo a dare alla Cina un ruolo di rilievo concreto. Questo trend rafforza l’espansione geografica del settore AI, che potrebbe restare un tema dominante nelle prossime settimane.
Un esempio che evidenzia il gap tecnologico è un articolo recente che sottolinea come, in Germania, quasi l’80% delle aziende utilizzi ancora il fax come strumento di comunicazione. Oltre la metà di esse lo considera addirittura indispensabile per le autorità. Questo mette in prospettiva quanto ci sia ancora da fare, in termini pratici, per la diffusione dell’AI.
Infine, non si può ignorare la spinta che le trattative tra Trump e Putin stanno dando all’ottimismo dei mercati europei. Diversi articoli suggeriscono che un accordo per la ricostruzione, stimato in circa 500 miliardi di dollari, sia sempre più vicino. Il primo segnale positivo è arrivato con la liberazione dell’insegnante americano Fogel da parte di Putin e l’arrivo di un funzionario americano in Russia per la prima volta dall’inizio della guerra nel febbraio 2022, probabilmente grazie alla mediazione dei Paesi del Golfo.
Ancora non si conoscono i dettagli di un possibile piano di pace, e sia Europa che Ucraina sembrano avere poca voce in capitolo, con Trump a guidare i negoziati. In questo contesto, il settore della difesa sta tornando in primo piano: al di là delle decisioni NATO sul PIL da investire, sembra che una parte dell’accordo sull’armistizio potrebbe prevedere l’impiego di truppe europee per garantire la pace.
Gli ultimi giorni sono stati particolarmente rilevanti per i dati macroeconomici. Se l’indice CPI sull’inflazione negli Stati Uniti ha sorpreso al rialzo, gli altri indicatori ricevuti sono stati più rassicuranti per la questione tassi. Le vendite al dettaglio sono diminuite dopo una forte stagione delle festività, mentre l’indice PPI, che misura l’inflazione lato produttori, ha evidenziato un calo in alcune componenti dei prezzi. Questo dato è particolarmente significativo, poiché contribuisce direttamente alla composizione del PCE, l’indicatore più monitorato dalla Fed, atteso a fine mese.
L’economia statunitense sta dunque rallentando, mentre crescono le preoccupazioni per l’incertezza legata alle politiche commerciali, che potrebbero alimentare l’inflazione proprio nel momento in cui il costo della vita rappresenta la principale preoccupazione per l’elettorato di Trump. Non sorprende, quindi, che sia Trump che il nuovo Segretario del Tesoro, Bessent, stiano rassicurando sul fatto che i tassi non saranno un problema quest’anno, grazie anche ai prezzi energetici più bassi. Se riuscissero a mantenere questa promessa, la correlazione tra il prezzo del petrolio e le aspettative d’inflazione sarebbe un elemento di stabilità per i mercati.
Arriviamo ora al tema dei dazi e politiche commerciali, siamo di fronte ad una pausa o solo un rinvio? Significa che il mercato può definitivamente smettere di preoccuparsi dei dazi? La risposta non è così semplice. Negli ultimi giorni, gli annunci in materia commerciale sembrano aver avuto un impatto sempre più limitato. L’annuncio sui dazi a Canada e Messico è durato meno di 24 ore prima di essere posticipato di un mese, mentre per Colombia e Venezuela i tempi sono stati ancora più ristretti, con un focus sui rimpatri dei migranti.
Un aspetto cruciale riguarda le nuove restrizioni su acciaio e alluminio, settori in cui gli Stati Uniti dipendono fortemente dalle importazioni. Per l’alluminio, in particolare, il 70% del fabbisogno nazionale proviene dall’estero, rendendo improbabile una riduzione dei prezzi interni. Il mercato, almeno per ora, sembra poco preoccupato, sia perché ormai abituato a continui annunci, sia perché c’è ancora tempo per trovare accordi che offrano un margine di respiro nel breve termine. Tuttavia, questa incertezza potrebbe rappresentare il primo vero ostacolo alla straordinaria partenza dell’anno.
Nel frattempo, l’Unione Europea sembra prepararsi a una risposta concreta, grazie anche al nuovo Strumento Anti-Coercizione. Questo potrebbe consentire all’UE di colpire le esportazioni di servizi statunitensi, sfruttando il crescente deficit commerciale in questo settore.
Domenica prossima si terranno le attese elezioni in Germania, convocate dopo il fallimento della coalizione dei tre partiti al governo lo scorso dicembre. Il mercato ha già parzialmente scontato questo evento come un potenziale elemento positivo, basandosi sui sondaggi, che indicano una forte probabilità di una coalizione composta da solo due partiti.
Queste elezioni vengono inoltre percepite come un referendum sulla riforma fiscale, la questione su cui è caduto il precedente governo. Un altro nodo chiave riguarda l’aumento del tetto del debito, che non è affatto scontato, poiché richiederebbe la maggioranza dei due terzi, trattandosi di una modifica costituzionale.
Dal punto di vista degli investitori, il primo elemento da valutare sarà la solidità della potenziale coalizione. Se si formerà un governo con solo due partiti, senza una minoranza in grado di bloccare la riforma costituzionale, il mercato europeo potrebbe beneficiare di un ulteriore impulso agli acquisti. Tuttavia, un accordo a tre partiti, seppur ancora possibile, complicherebbe notevolmente lo scenario.
Dopo la forte corsa dell’Europa, è plausibile attendersi un consolidamento di breve termine, con la possibilità che gli Stati Uniti recuperino terreno in termini relativi. Questo potrebbe avvenire grazie al ritorno dei piani di buyback dopo le trimestrali e al persistente supporto da parte degli investitori retail.
Tuttavia, il tema dell’allargamento geografico degli investimenti continuerà a dominare per tutto il 2024. È difficile immaginare che il mercato possa assuefarsi a un contesto di bassa volatilità, proprio alla vigilia di eventi cruciali che potrebbero determinare le dinamiche settoriali nei prossimi mesi. Rimaniamo quindi costruttivi nel medio termine, favorendo un’espansione del mercato anche verso titoli a capitalizzazione più bassa. Nel breve termine, però, è necessario prestare attenzione a possibili spike di volatilità, che potrebbero creare opportunità di ingresso per gli investitori più attenti.