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Interpretare il nuovo scenario macroeconomico

di John Butler, Macro Strategist e Marco Giordano, Investment Director di Wellington Management
 
Interpretare il nuovo scenario macroeconomico
È facile lasciarsi travolgere dalle oscillazioni settimanali dei mercati e dal flusso incessante di notizie, ma vale la pena fare un passo indietro e guardare al quadro macroeconomico più ampio. Da questa prospettiva emerge che ci troviamo in una sorta di “zona grigia”, sospesi tra due visioni contrastanti: da un lato, la narrativa dominante nei mercati e nelle politiche economiche, secondo cui servono ulteriori stimoli; dall’altro, i dati concreti che indicano un ciclo economico maturo ma ancora solido. Questa narrativa prevalente sostiene una crescita nominale elevata, e dunque i mercati rischiosi, ma a un certo prezzo. E più a lungo dura, più aumenta il rischio di un’inversione improvvisa, quando la realtà prenderà il sopravvento e i mercati inizieranno a mettere in discussione l’impatto degli stimoli attuali sulla sostenibilità del debito pubblico. 

Uno stimolo di troppo?

Tutte le banche centrali stanno tagliando i tassi o ci si aspetta che lo facciano a breve. L’unico dibattito riguarda la rapidità e l’entità delle riduzioni. Inoltre, quasi tutti i principali paesi stanno adottando politiche fiscali espansive. Eppure, forse oggi non è ciò di cui il mondo ha realmente bisogno. Ecco perché:

Forte crescita della spesa privata - Nei mercati sviluppati, la spesa nominale del settore privato cresce al ritmo più veloce degli ultimi 20 anni, escludendo il picco anomalo seguito alla riapertura dell’economia dopo il lockdown per la pandemia di COVID.

Inflazione ostinatamente elevata - La crescita nominale rimane vigorosa, ma gran parte di essa riflette prezzi maggiori. In effetti, l’inflazione globale è ai livelli più alti da 30 anni (fuori dal periodo COVID) e sembra stabilizzarsi su queste soglie elevate.

Occupazione storicamente elevata - I tassi medi di disoccupazione nelle economie sviluppate restano vicini ai minimi storici, segnalando scarsissimo margine inutilizzato nell’economia globale. E di solito è proprio questo eccesso di capacità produttiva inutilizzata che contribuisce a stabilizzare l’inflazione.

Deglobalizzazione - Più barriere commerciali, catene di fornitura frammentate e minori flussi migratori sono i tratti distintivi della nuova era economica. Questa inversione di tendenza rispetto alle forze che per decenni hanno tenuto bassa l’inflazione coincide con il rallentamento della produttività e l’impatto crescente dell’invecchiamento demografico. 

L’intelligenza artificiale e la deregolamentazione possono fare da contrappeso? 

È possibile che il mondo venga “salvato” da una rapida ondata di investimenti nell’intelligenza artificiale (IA) e da nuove deregolamentazioni, entrambe in grado di aumentare la produttività e prolungare il ciclo. Ci sono timidi segnali che l’IA possa effettivamente migliorare la produttività in tempi brevi, ma non è escluso che parte dei capitali investiti sia allocata in modo inefficiente o che i benefici immediati vengano sopravvalutati. Anche la deregolamentazione può dare impulso alla produttività eliminando ostacoli inutili, ma comporta rischi di effetti indesiderati che alla fine potrebbero avere l’impatto opposto. Nel frattempo, però, le forze contrarie - invecchiamento della popolazione, calo dei flussi migratori e deglobalizzazione - stanno accelerando. È impossibile prevedere con precisione tempi e impatti netti di queste spinte contrapposte.

Quello che sappiamo è che né la politica fiscale né quella monetaria appaiono eccessivamente restrittive. Eppure, i tassi d’interesse stanno scendendo ovunque, mentre i governi stanno attuando il più ampio allentamento fiscale coordinato dal 2010 (al di fuori del periodo COVID), quando però la disoccupazione globale era il doppio di oggi e l’inflazione sotto l’1%. 

Bene per gli asset rischiosi, ma fino a un certo punto

I dazi stanno senza dubbio generando volatilità macroeconomica, ma in sostanza si traducono in shock di crescita relativa con effetti diversi tra paesi e settori. Con tutti i grandi Stati che allentano le politiche in un contesto di mercati del lavoro ancora tesi, la crescita nominale (e l’inflazione) è destinata a restare elevata: un ambiente favorevole per gli asset rischiosi. 

Tuttavia, una crescita trainata dall’inflazione non è uno scenario “Goldilocks”: prima o poi richiederà tassi più alti, soprattutto perché i governi non hanno permesso all’inflazione di erodere i loro debiti e continuano ad accumulare deficit. A un certo punto, i mercati obbligazionari pretenderanno un premio più alto per finanziare queste politiche dispendiose. E ciò potrebbe tradursi in ulteriori irripidimenti delle curve dei rendimenti. 

Pronti al cambio di rotta

Esiste una possibilità concreta che i mercati escano bruscamente dall’attuale “zona grigia” e spingano i rendimenti dei titoli di Stato a livelli impensabili solo pochi anni fa, con conseguenze rilevanti per tutti gli asset rischiosi. Oggi gli investitori possono ancora sfruttare l’ambiente favorevole per gli strumenti con rischio. Tuttavia, sarebbe prudente preparare i portafogli a scenari molto diversi, ottimizzando la diversificazione e costruendo la necessaria flessibilità per rispondere sia ai rischi che alle opportunità che ne deriveranno.
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