Ultime notizie
Il triangolo del fuoco. Mercati in attesa di una scintilla
di Angelo Meda (responsabile azionario BANOR)

Come per tutte le attività in cui è richiesta una minima conoscenza delle norme di sicurezza antiincendio, nella prima lezione del corso per diventare pompieri si impara il concetto del “triangolo del fuoco”. Ciò significa che per generare una combustione sono necessari tre elementi: il combustibile (una sostanza in grado di infiammarsi), il comburente (comunemente l’ossigeno, una sostanza che agendo come ossidante permette al combustibile di bruciare) e la fonte d’innesco (una sorgente che apporta calore alla combinazione combustibile-comburente). Senza uno di questi elementi la fiamma non si genera e per ottenere l’estinzione di un incendio è sufficiente eliminare uno dei tre elementi.
Da questo principio possiamo trarre un parallelismo con i mercati. Per innescare un incendio, ovvero una discesa incontrollata, servono: il combustibile, quindi una valutazione del mercato elevata o in generale indici esuberanti come andamento; il comburente, cioè un peggioramento macroeconomico che dispiega i suoi effetti in un arco di tempo relativamente lungo; infine l’innesco, detto anche catalyst, una scintilla, una situazione che può scatenare la reazione a catena creando preoccupazione.
Il combustibile è evidente: la valutazione del mercato americano è al 98° percentile storico, ovvero solamente nel 2% dei casi nella storia (dati mensili) il rapporto prezzo/utili è stato superiore all’attuale 21,1x. Abbiamo inoltre un’elevata concentrazione, con le prime dieci società che pesano quasi il 36% dell’indice S&P 500, valore mai raggiunto in precedenza nella storia (nel 2000 era arrivato al 27%).
Abbiamo anche il comburente. Nonostante non ci siano dati macroeconomici USA da ormai due settimane a causa dello shutdown del governo federale, possiamo dire che l’economia americana è in fase di rallentamento. Il numero di posti di lavoro creati negli ultimi mesi è sostanzialmente pari a zero e la crescita attesa del PIL per il 2025 è sotto il 2%, il valore più basso dal 2016 escludendo il periodo del Covid. Anche l’economia cinese, che ha riportato recentemente un dato di crescita del PIL vicino al 5%, mostra un andamento poco incoraggiante, con i consumi domestici in forte calo rispetto ai trimestri precedenti e una forte contrazione degli investimenti industriali (andati in negativo per la prima volta dal periodo post Covid), compensata per il momento dall’export. Nel mezzo tra le due super potenze l’Europa rimane anemica, con una crescita impattata dalle difficoltà francesi e in area 1-1,5%.
Manca il terzo elemento, l’innesco. Abbiamo assistito a vari tentativi ma finora nessuno è riuscito a fermare l’ondata degli investitori e della liquidità che si riversa sul mercato ogni volta che si arriva a un momento di tensione. La scorsa settimana ci hanno provato di nuovo le banche regionali americane con un accantonamento da 60 milioni di dollari da parte di Zion Bank e con le dichiarazioni di Western Alliance su un “debitore fraudolento”. Quest’ultima ha creato turbolenze tra gli operatori, impegnati a comprendere cosa siano le Non-Deposit Financial Institution (NDFI) che hanno causato queste perdite. Si tratta, in sostanza, di finanziamenti effettuati non direttamente alle aziende, ma a intermediari quali fondi chiusi di debito privato, hedge fund o intermediari di credito che a loro volta presteranno alle società. Il trattamento regolatorio favorevole in termini di capitale ha portato a una forte crescita dei finanziamenti a NDFI, con facilitatori come Goldman Sachs o Morgan Stanley che hanno rispettivamente il 47% e il 24% dei prestiti effettuati con NDFI (14% a livello di sistema bancario americano). A esacerbare la tematica del private credit si è aggiunto il default di First Brands, una società di componentistica auto che ha dichiarato 11 miliardi di dollari di esposizione con vari veicoli di ingegneria finanziaria, spesso con leva al loro interno.
Le tensioni commerciali USA-Cina hanno acceso una piccola scintilla sul mercato, subito spenta dal “pompiere” Trump con una marcia indietro in poco più di due giorni. Insomma, per ora tutti gli inneschi vengono neutralizzati da una Fed accomodante, da utili ancora in uscita sopra le attese e da un ciclo di investimenti da parte dei colossi della tecnologia che è atteso spingere il PIL americano sopra il 2% per i prossimi anni grazie ai miglioramenti della produttività indotti dall’intelligenza artificiale e dagli effetti di questi investimenti sull’economia.
La storia economica però ci racconta che non sempre queste scintille sono facilmente identificabili. In passato, il calo iniziato nel marzo 2000 non ha avuto nessun innesco evidente, come se fosse un caso di autocombustione che ha visto la situazione avvitarsi in modo endemico.
L’economia è una scienza sociale basata più sui comportamenti umani che sulle formule matematiche, per cui è possibile pensare che si possano verificare anche rari casi di inversione dei trend generati spontaneamente dal pensiero comune.
Andando oltre un’analisi degli indici, si nota come questo mercato sia composto da rischi ma anche da opportunità. Infatti, nonostante massimi storici recentemente aggiornati, circa il 60% dei titoli nell’indice S&P 500 salgono meno del 10% da inizio anno, quindi leggermente negativi se convertiti in euro e addirittura il 40% sono negativi in dollari, lasciando spazio per un recupero dei settori e dei titoli rimasti indietro qualora si confermassero le stime per un 2026, che dovrebbe essere di recupero in tutte le aree.
Teniamo quindi pronti gli estintori (la volatilità è salita ma il costo delle coperture è ancora sopportabile) e andiamo alla ricerca delle opportunità che esistono ancora sul mercato, superando l’apparenza degli indici e stando attenti alle scintille che verosimilmente arriveranno nelle prossime settimane. Si attendono infatti il rilascio dei dati macroeconomici americani post shutdown e tutti gli incontri dei capi di governo mondiali alla ricerca di soluzioni per i conflitti ancora in corso.