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Fine dell’entusiasmo AI: torna la selettività

 
Fine dell’entusiasmo AI: torna la selettività

Dopo una settimana di vendite diffuse, questa mattina i mercati azionari stanno provando a risalire.

Le azioni aprono in rialzo e i rendimenti dei Treasury si muovono al ribasso, con il sentiment in miglioramento e sostenuto dalle speranze di un accordo per porre fine al più lungo shutdown governativo nella storia degli Stati Uniti, arrivato al 40° giorno. 

La fine dello shutdown permetterebbe di tornare a disporre di dati ufficiali su occupazione e inflazione, riducendo l’incertezza sul percorso della Federal Reserve e sui prossimi tagli dei tassi. Tuttavia, nonostante questo rimbalzo, il mercato resta nervoso: la forte svendita dei titoli AI e tecnologici della scorsa settimana ha riacceso il dibattito sulla sostenibilità delle valutazioni e del rally in corso.

La narrativa macro americana continua a muoversi tra segnali di forza e nuovi campanelli d’allarme.
Il dato ADP sul lavoro ha dato un segnale incoraggiante con 42 mila nuovi posti nel settore privato, il primo aumento da luglio. Ma l’effetto è durato poco. Il Challenger Report, infatti, ha mostrato oltre 153 mila licenziamenti annunciati a ottobre, il dato peggiore dal 2003. Da inizio anno siamo già oltre 1,1 milioni di tagli, in crescita del 44% rispetto al 2024.

Due numeri che sembrano contraddirsi, ma solo in apparenza: le grandi aziende continuano ad assumere, mentre i tagli si concentrano nei settori più esposti alla tecnologia e alla logistica. È l’effetto combinato di automazione e pressione sui costi: nei magazzini come nel cloud, l’intelligenza artificiale aumenta la produttività ma riduce la necessità di manodopera. E se i licenziamenti in pieno periodo pre-natalizio possono sembrare insoliti, oggi le imprese anticipano i tagli per migliorare i margini già nel quarto trimestre.
Il risultato è un mercato del lavoro a due facce: ancora resiliente in superficie, ma con crepe che potrebbero presto riaprire il dibattito su nuovi tagli dei tassi da parte della Fed.

Per ora, la probabilità di un taglio a dicembre resta intorno al 65%, in calo rispetto all’85% prima dell’ultima riunione. Powell ha lasciato intendere che “non è affatto scontato” un nuovo intervento, e mentre i rendimenti dei Treasury tornano a salire, l’azionario ha cominciato a prezzare il rischio di una pausa più lunga.

In parallelo, la Corte Suprema ha aperto un procedimento per valutare la costituzionalità dei dazi di Trump, che oggi valgono oltre 200 miliardi di dollari l’anno, il doppio rispetto al periodo pre-tariffe. Un’eventuale bocciatura ridurrebbe le entrate del Tesoro, costringendo a maggior emissione di debito e quindi paradossalmente a rendimenti più alti, proprio mentre la Fed tenta di contenerli. La sentenza è attesa a dicembre, in coincidenza proprio con la riunione della FED, in un mix potenzialmente esplosivo per i mercati.

Negli ultimi giorni si è acceso un dibattito sempre più articolato sull’AI. Dopo mesi di entusiasmo quasi incondizionato, si comincia a distinguere tra ciò che è potenziale e ciò che è già sostenibile. Tre questioni emergono con chiarezza. La prima riguarda l’effettiva traiettoria tecnologica con molti esperti del settore — anche figure interne al mondo dell’AI — riconoscono che la cosiddetta generative AI non è necessariamente la via maestra verso l’intelligenza generale. Si parla oggi di un orizzonte di 5-10 anni, ben più lungo di quanto si prevedesse solo due anni fa. La seconda questione è economica. Il settore investe ogni anno circa 400 miliardi di dollari, ma genera ricavi per appena 30 miliardi. E OpenAI, da sola, ha in programma capex per oltre 1.400 miliardi nei prossimi anni: una cifra enorme, che trasforma l’intelligenza artificiale in un motore di crescita ad altissimo consumo di capitale.

Data center sempre più grandi, GPU costose e destinate a diventare obsolete in pochi anni, colli di bottiglia energetici e logistici: la corsa all’infrastruttura è diventata il vero limite del sistema. 

Si parla sempre più spesso di un possibile ricorso al debito federale, con OpenAI che avrebbe ipotizzato una garanzia pubblica per sostenere i propri investimenti — una mossa che molti investitori interpretano come una sorta di richiesta di salvataggio governativo.

OpenAI ha scelto una strategia di crescita estremamente aggressiva, che l’ha portata, insieme a Nvidia, al centro dell’ecosistema AI. Ma oggi è diventata too big to fail, troppo grande per poter fallire. E l’ultima volta che qualcuno lo era, nel 2008, non è finita benissimo.

La terza questione è di carattere valutativo: pur non essendo a livelli “da bolla Internet”, i multipli restano elevati e difficili da giustificare se i ricavi non accelerano presto. L’errore più comune, in queste fasi, è pensare che siccome non siamo nel 2000, possiamo permetterci di non essere prudenti. Il rischio oggi è sistemico: l’AI è diventata così pervasiva da rappresentare, di fatto, un pilastro fondamentale della crescita americana. Già oggi si stima che la crescita del PIL Americano senza il contributo dell’AI sarebbe almeno dimezzato. Se la spinta dovesse rallentare, il contraccolpo si estenderebbe a tutto il mercato, generando un effetto ricchezza negativo che costringerebbe le autorità a reagire con nuovi stimoli monetari o fiscali.
 
In sintesi: l’AI resta un trend di lungo periodo, ma la fase di entusiasmo cieco sembra essere finita. Ora il mercato distingue tra chi costruisce valore reale e chi vive di hype. Intanto gli utili non bastano più a sostenere le quotazioni di molti titoli. Gli utili crescono ma non sorprendono. Chi batte le stime non sale e chi delude crolla. È il classico segnale che il mercato ha già prezzato la perfezione e ha bisogno, almeno nel breve, di aggiustare a ribasso le aspettative. Non si tratta di prevedere un crollo delle Magnificent 7, ma di costruire portafogli che possano resistere se l’AI-trade si normalizza. 

L’ampiezza del mercato sta peggiorando, sempre meno titoli sono sopra le medie mobili a 50 e 200 giorni, e la performance dell’S&P 500 equal weight resta molto indietro rispetto alle mega-cap.

Il quadro generale suggerisce quindi che siamo entrati in una nuova fase del ciclo caratterizzata da meno euforia e più selettività. I mercati iniziano a fare i conti con l’incertezza sui tassi, la fragilità del mercato del lavoro e i limiti strutturali dell’AI-trade. In questi momenti la differenza non la fa chi indovina la direzione del prossimo rally, ma chi mantiene la disciplina. L’intelligenza artificiale non è una delusione, ma nemmeno una scorciatoia. Come ogni grande rivoluzione tecnologica, attraverserà fasi di esuberanza e di normalizzazione. Per l’investitore, la sfida è restare lucida: capire dove finisce l’eccitazione ingiustificata e dove comincia la realtà economica.

 
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