Ultime notizie
Dazi del 30% all’UE, la lettera di Trump a Bruxelles aumenta la pressione: o la va o la spacca
degli economisti di ING Carsten Brzeski e Inga Fechner

Dopo le lettere inviate a numerosi Paesi del mondo, il 12 luglio è arrivato il turno dell'UE e del Messico. Secondo le missive inviate dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, verrà applicata una nuova tariffa del 30% alle merci europee e messicane che entrano negli USA. Appena 24 ore prima, si speculava di un possibile accordo commerciale tra UE e Stati Uniti che avrebbe potuto essere annunciato nel fine settimana. Chiaramente qualcuno aveva anticipato i tempi. Infatti, anziché un accordo commerciale, Bruxelles si è trovata nella cassetta delle lettere i dazi al 30%, a dimostrazione del fatto che l'amministrazione statunitense sta aumentando la pressione. Non ci sembra una sorpresa. L'amministrazione statunitense ha da tempo segnalato una posizione più dura nei confronti dell’Unione rispetto ad altri partner commerciali. Commenti come "l'UE è più cattiva della Cina" hanno impostato il tenore del dialogo. Quindi, sebbene la tempistica possa aver colto alcuni di sorpresa, il messaggio è in linea con lo schema.
Ora è comunque troppo presto per farsi prendere dal panico. Mancano ancora quasi tre settimane per raggiungere un accordo cordiale. E non dimentichiamo che Trump aveva già minacciato l’UE con un dazio del 50% a partire dal 1° giugno. Abbiamo rinunciato a prevedere eventuali strategie a lungo termine nell’ambito di questi negoziati commerciali. Ciò che dimostrano le lettere degli ultimi giorni, e in particolare quelle all'UE e al Messico, è che ci stiamo avvicinando a un momento decisivo. Le missive evidenziano che l'amministrazione statunitense sta aumentando la pressione per raggiungere un qualche tipo di accordo. Non è chiaro se i negoziatori siano vicini o ancora lontani dal raggiungere un accordo. In ogni caso, ci sono tre modi in cui questa ultima ondata di lettere può concludersi: 1) la pressione aggiuntiva porterà a risultati tangibili; 2) i dazi smetteranno di fare paura, poiché l'amministrazione statunitense alla fine cederà, a rischio di perderci la faccia; oppure 3) stiamo entrando in una vera e propria guerra commerciale. La quarta opzione teorica, quella di rinviare oltre il 1° agosto, appare altamente improbabile e politicamente poco attraente per l'amministrazione statunitense.
Contromisure ai dazi USA - Perché l'UE aspetterà fino ad agosto
Domenica, la Commissione europea ha confermato la sua intenzione di sospendere per ulteriori 90 giorni il suo primo pacchetto di contromisure del valore di 21 miliardi di euro, previsto in risposta ai dazi statunitensi sulle importazioni di acciaio e alluminio. I controdazi erano stati preparati in risposta al 9 luglio, la data inizialmente indicata come scadenza della sospensione dei dazi reciproci che erano stati imposti ad aprile. Rinviare al 1° agosto le contromisure per l'UE appare logico. Perché reagire ora se i dazi erano stati sospesi anche in precedenza?
Non dimentichiamo che, finora, solo la scadenza del 1° agosto è giuridicamente vincolante e ufficialmente registrata in un ordine esecutivo. Tutto il resto, soprattutto ciò che circola sui social media, lascia ancora ampio margine di negoziazione. E nel mondo di oggi, tre settimane sono un periodo molto lungo.
La possibile reazione dell’UE ai dazi di Trump
Chiaramente, la lettera del fine settimana mette pressione sull'UE affinché metta ancor di più sul piatto dei negoziati. In effetti, l'UE ha diverse opzioni in questi negoziati commerciali. La prima opzione è aumentare gli acquisti dagli Stati Uniti. Si pensi alla famigerata soia e al GNL di sette anni fa, ma anche alle attrezzature militari, come parte della strategia europea per aumentare la spesa per la difesa (anche se l'Europa avrà difficoltà a far mandare giù al proprio elettorato che il denaro dei contribuenti verrà speso per attrezzature militari statunitensi). La seconda opzione è quella di ridurre effettivamente i dazi, ad esempio sulle auto o sui prodotti agricoli statunitensi, o di ridurre gli ostacoli commerciali non tariffari come gli standard di qualità per le auto statunitensi. La terza opzione riguarda i divieti di esportazione su prodotti strategicamente importanti per gli Stati Uniti. Si pensi ai prodotti farmaceutici e ai medicinali europei che attualmente non vengono prodotti negli Stati Uniti: la versione europea del magnesio cinese. La quarta e ultima opzione sarebbe quella di ricorrere a una rappresaglia aperta, aumentando i dazi sui prodotti statunitensi o ricorrendo alla “bomba nucleare” negli scambi commerciali: dazi sui servizi digitali ma anche normative più severe sulle aziende tecnologiche statunitensi.
Sia chiaro, l’ultima opzione porterebbe a una vera e propria guerra commerciale tra Stati Uniti ed Europa e non possiamo che ribadire la nostra precedente opinione secondo cui nelle guerre commerciali non ci sono vincitori, solo vinti.
In questo contesto, l'UE intensificherà i suoi sforzi per trovare un accordo con l'amministrazione statunitense, ma esistono limiti. Si pensi a dazi e standard più bassi per i prodotti agricoli statunitensi. Allo stesso tempo, un'aliquota tariffaria statunitense del 30% non rimarrà senza risposta da parte dell'UE. Il problema di Bruxelles, tuttavia, è che maggiore sarà la pressione esercitata dall'amministrazione statunitense sull'UE, maggiore sarà la probabilità che la linea unitaria europea si incrini.
L'arte del dis-accordo: le promesse commerciali degli Stati Uniti su un terreno instabile
Alcuni hanno coniato l'etichetta di "incertezza strategica", cercando di descrivere l'infinita saga commerciale e tariffaria dell'amministrazione statunitense. Abbiamo smesso di speculare sull'esistenza o meno di una strategia a lungo termine. Sappiamo solo che i mercati finanziari sembrano essersi intorpiditi, mentre allo stesso tempo la minaccia tariffaria è ancora reale. Nel caso europeo, una tariffa universale del 30% potrebbe ridurre di circa 0,4 punti percentuali la crescita del PIL, spingendo l'economia europea sull'orlo della recessione. E questo senza nemmeno considerare l'impatto che l'incertezza tariffaria in atto da aprile avrà sulle decisioni di investimento.
E anche se abbiamo smesso di fare speculazioni, sappiamo che vorreste sentire da noi uno scenario di base. Eccolo: ci aspettiamo ancora un qualche tipo di accordo entro il 1° agosto che comporti una tariffa universale del 10% e tariffe settoriali tra il 20% e il 25% per l'UE. Di conseguenza, l'UE si troverebbe ad affrontare un'aliquota tariffaria effettiva statunitense vicina al 20%. Una condanna? Non secondo noi.
A complicare ulteriormente le cose, nemmeno un accordo segnerebbe la fine della saga dei dazi. Innanzitutto, non bisogna dimenticare che gli accordi commerciali non sono documenti da un paio di pagine. Piuttosto si tratta di centinaia e centinaia. I negoziati non durano settimane, ma mesi e anni. Pertanto, qualsiasi “big, beautiful deal” che potrebbe essere raggiunto nelle prossime settimane non avrà la garanzia di durare. Che regga per settimane, mesi o anni dipende interamente dai capricci dell'amministrazione statunitense. Nell'attuale panorama commerciale, nulla può essere dato per scontato. Il commercio globale diventerà sempre più volatile. La ricerca di nuovi partner commerciali – come quella tra Regno Unito e India, o l'Accordo di partenariato economico globale (CEPA) annunciato nel fine settimana tra UE e Indonesia – ne è un chiaro segno.
La lettera di Donald Trump all'UE non è una lettera d'amore, ma nemmeno una lettera d'odio. È una lettera per aumentare la pressione sui negoziati in corso. I prossimi giorni e le prossime settimane diranno se l'Europa è disposta e in grado di scendere a compromessi, come piace agli Stati Uniti. In ogni caso, le lettere della scorsa settimana suggeriscono che un momento decisivo nella saga dei dazi si sta avvicinando.