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Dazi, salari e inflazione: perché il compito della Fed resta in salita

di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm
 
Dazi, salari e inflazione: perché il compito della Fed resta in salita
Come ampiamente previsto, nel corso della riunione di settembre, la Federal Reserve ha optato per il primo taglio del 2025, abbassando il tasso d’interesse di riferimento di 25 punti base. Nonostante la Banca Centrale sia formalmente indipendente dall’esecutivo, l’amministrazione Usa ha sostenuto con forza la necessità di un allentamento monetario, tanto che il governatore più recentemente nominato nel board della Fed ha addirittura votato a favore di una riduzione da 50 punti base.

In prospettiva, i policymaker americani dovrebbero effettuare altri due tagli entro la fine dell’anno, anche laddove l’inflazione dovesse avvicinarsi alla soglia del 3%, per poi fermarsi, a meno di un cambiamento significativo nel quadro macroeconomico e inflazionistico. Di seguito, il grafico sull’andamento dell’inflazione nominale negli Stati Uniti mostra come i prezzi al consumo stiano crescendo a un ritmo più serrato rispetto a quanto sperato dalla Fed, sebbene non in maniera drammatica.  

Buona parte del dibattito si concentra, come prevedibile, sull’impatto dei dazi: al momento, però, il loro effetto sui prezzi appare più circoscritto di quanto si temesse in primavera. In particolare, le tariffe vanno a colpire soprattutto l’inflazione dei beni, mentre quella dei servizi – più persistente – resta stabilmente al di sopra del target.

L’inflazione, però, non è l’unica variabile da tenere sotto osservazione: la Federal Reserve ha anche un mandato specifico rispetto all’occupazione. In una prospettiva storica, i livelli attuali del tasso di disoccupazione sono ancora contenuti, anche se si stanno gradualmente spostando verso l’alto. Parallelamente, la crescita dei salari rimane solida, sopra il 4% su base annua, un dato positivo per le famiglie e per i lavoratori, che continuano a recuperare parte del potere d’acquisto perso durante il picco inflazionistico del 2022, ma che rende più complesso il compito della Fed, impegnata a riportare l’inflazione vicino al 2%.

Fondamentale da monitorare è anche la crescita del Pil: dal 2022, l’economia statunitense ha messo a segno una performance migliore rispetto ad altre grandi economie sviluppate, tra tutte l’Eurozona, e gli ultimi dati sulle vendite al dettaglio evidenziano la resilienza dei consumi, nonostante l’indebolimento del mercato del lavoro.
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