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Columbia Threadneedle Inv. - Cina, inverosimile un nuovo ingente pacchetto di stimoli

di Paul Smillie, analista del credito di Columbia Threadneedle Investments
 
Columbia Threadneedle Inv. - Cina, inverosimile un nuovo ingente pacchetto di stimoli
L’entità dei dazi imposti sulle importazioni cinesi negli Stati Uniti cambia di settimana in settimana. Nonostante la sospensione di 90 giorni accordata di recente, il loro effetto potenziale sulla crescita economica cinese potrebbe essere significativo[1]. Tutto questo accade in un momento in cui la Cina ha urgente bisogno di incrementare la domanda ed i consumi domestici[2]. Intanto in Europa, la Germania ha sorpreso tutti con l'annuncio di stimoli fiscali senza precedenti per contrastare l'impatto dei dazi sulle sue esportazioni.

La Cina ha una certa esperienza nel ricorrere a misure di stimolo per affrontare le difficoltà, basta pensare agli enormi pacchetti del biennio 2008-2009 e poi ancora del 2015-2016. Tuttavia, questa volta la situazione appare diversa, come dimostra anche l’approccio più modesto adottato dal Governo. Il fatto che nei bilanci compaiano ancora i crediti insoluti risalenti alla crisi finanziaria globale, ci fa pensare che non ci siano le condizioni per un terzo pacchetto di stimoli consistenti.

Il problema cinese

Dal primo grande stimolo del 2008, il settore bancario cinese è cresciuto di 50 trilioni di dollari, passando da circa 2 volte il PIL nominale a circa 3,2x volte[3]. Oggi il settore bancario cinese è il più grande al mondo (Fig.1). Questa crescita è stata trainata soprattutto dalle banche di piccole e medie dimensioni del paese, poco regolamentate.

Il problema è che, quando il credito aumenta molto più velocemente del PIL nominale, nel sistema si accumulano prestiti in sofferenza che spesso, come nel caso cinese, si manifestano nei prestiti immobiliari. Guardando ad altri esempi passati, tutte le volte che si è registrata una simile crescita in un settore bancario gli esiti sono sempre disastrosi[4]. Una stima plausibile delle perdite latenti nel sistema cinese si aggira attorno ai 4 trilioni di dollari USA[5], l'equivalente della somma dei prestiti di Bank of America, Citigroup, JP Morgan e Wells Fargo[6].

Questi prestiti inesigibili non sono una novità, ma la Cina non ha ancora affrontato l’eredità delle due precedenti ondate di credito. Secondo le nostre stime, nei bilanci delle banche sono ancora presenti circa la metà dei crediti in sofferenza emessi dopo la crisi finanziaria globale. Se queste perdite venissero riconosciute oggi, le banche di piccole e medie dimensioni diventerebbero insolventi, almeno secondo gli standard normativi occidentali.

Perché le banche possano essere risanate, si devono riconoscere queste perdite e si deve raccogliere nuovo capitale. Prendiamo, ad esempio, due casi di entità simile a quella stimata della Cina: il Giappone negli anni ‘90 e gli Stati Uniti negli anni 2000. Nonostante entrambi i Paesi hanno dovuto contabilizzare oneri di svalutazione per circa il 10% dei prestiti[7], gli Stati Uniti sono riusciti ad affrontare il problema in soli 3 anni, mentre al Giappone ce ne sono voluti 15, con le autorità che hanno sprecato i primi 7 sperando di risolvere la questione con il ritorno della crescita.

La Cina sta seguendo l'esempio del Giappone. Il legislatore ha rimosso l’obbligo di accantonamento per perdite sui prestiti più rischiosi fino alla fine del 2027[8]. In pratica, i crediti potrebbero anche essere in sofferenza ma tutti sono incoraggiati a fingere che non sia così. Se le banche cinesi iniziassero a creare accantonamenti nel 2028, il sistema potrebbe essere risanato solo nel 2035.

Per risolvere il problema si deve prima riconoscerne l’esistenza

Nonostante la situazione, è doveroso sottolineare che le autorità cinesi hanno già fatto un buon lavoro. Negli ultimi cinque anni, il problema è stato lentamente affrontato, con lo storno di circa l'1% di prestiti ogni anno. A ciò si aggiunge che recentemente una parte del capitale pubblico è stato destinato alle grandi banche statali[9].

Tutto questo è bastato per scongiurare il peggio, ma non per liberarsi dei crediti deteriorati. Il sistema necessita di una forte ricapitalizzazione, che può avvenire solo nel momento in cui le autorità cinesi ammetteranno l'esistenza del problema costi[10].

Qualcuno potrebbe sostenere che la soluzione al problema sarebbe quella di permettere alle banche di riconoscere maggiori perdite su crediti, ma non è del tutto coretto. Perché la Cina possa raggiungere i suoi obiettivi di crescita, il credito deve necessariamente continuare ad espandersi. Nel momento i cui gli utili vengono destinati al riconoscimento dei debiti deteriorati e non alla creazione di capitale per sostenere la crescita dei prestiti, la crescita del credito rallenterebbe drasticamente, dal 10% a meno del 5%[11]. Ecco spiegato il motivo per cui le autorità non possono lasciare che questo accada.

Un’altra soluzione potrebbe essere che il governo cinese contragga direttamente dei prestiti, senza coinvolgere le banche, ma in Cina non è così semplice. Lo stimolo fiscale tedesco verrà finanziato da fondi presi in prestito sui mercati dei capitali internazionali. È vero che il settore bancario nazionale acquisterà parte del debito ma è anche vero che ci si rivolgerà anche a investitori di tutto il mondo. Il tasso d'interesse al quale la Germania può assumere prestiti sarà determinato dal mercato.

In Cina, il governo si finanzia quasi esclusivamente attraverso il settore bancario, composto in larga parte da istituti di credito a controllo statale. Questa configurazione consente alle autorità di determinare autonomamente il costo del proprio indebitamento, ovvero i tassi di interesse applicati.

Un effetto collaterale di questa dinamica è che, con l’aumento della spesa pubblica a fini di stimolo economico, il settore bancario tende ad espandersi in modo significativo. Inoltre, gran parte di questo indebitamento non è riconducibile al governo centrale, bensì agli enti locali, i quali spesso utilizzano veicoli di finanziamento appositamente costituiti (Local Government Financing Vehicles), caratterizzati da scarsa trasparenza.

Tali prestiti, in molti casi, non vengono rimborsati, generando un accumulo progressivo di attività deteriorate nei bilanci bancari. Il risultato finale è un sistema bancario di dimensioni sempre maggiori, ma con un’esposizione crescente verso crediti problematici.

Ricorrere nuovamente ad importanti stimoli fiscali potrebbe certamente far aumentare di qualche punto percentuale la crescita del PIL nel breve termine, ma creerebbe un problema ancora più grande per le banche nel lungo periodo. Senza prima una ricapitalizzazione del settore, gli stimoli finirebbero solo per rendere il sistema finanziario ancora più instabile.

Questa situazione è davvero un problema?

Tutto quanto presentato finora rappresenterebbe certamente un grande problema per l'Occidente. I finanziatori si dileguerebbero per timore di investire in una banca insolvente. Per la crescita del PIL sarebbe terribile, come lo è stato in molte occasioni in passato (ad esempio in Irlanda e Spagna nei primi anni duemila)[12].

Tuttavia, la domanda da porsi è se questo rappresenta davvero un problema in Cina. Ci sono diverse ragioni che spingono a dire di no: tutti i prestiti sono in valuta locale e il conto capitale è chiuso; pertanto, non c'è il rischio di una classica crisi dei mercati emergenti in cui i finanziamenti in valuta estera vengono ritirati, le banche crollano e si innesca una crisi valutaria. Inoltre, il settore bancario è statale e se la Cina riconoscesse tutte le perdite in un'unica volta, il conto totale per il debito sovrano ammonterebbe a circa il 20% del PIL[13].

Questo non vuol dire che non ci sia nulla di cui preoccuparsi, perché tutto dipende da quanto è grande il settore bancario. Confrontandolo con le riserve valutarie, nell'ultimo decennio si può notare che queste sono rimaste stabili attorno a 3000 - 3500 miliardi di dollari, mentre il settore bancario ha raddoppiato le sue dimensioni raggiungendo i 60 trilioni di dollari. Ciò significa che nel sistema bancario cinese esistono passività (o finanziamenti) per 60 trilioni di dollari.

Se iniziassero a perdere fiducia nella stabilità finanziaria del paese, una parte significativa dei risparmiatori in Cina potrebbe essere spinta a spostare i propri capitali all’estero, privilegiando investimenti denominati in dollari come forma di protezione patrimoniale. Basterebbe anche solo un piccolo spostamento di questi 60 trilioni di dollari di passività per creare un grosso buco nei 3 trilioni di dollari di riserve valutarie[14]. A sua volta, il calo delle riserve potrebbe mettere in seria difficoltà la valuta cinese[15].

Notoriamente la Cina impedisce che il denaro esca dal sistema locale attraverso un rigoroso controllo dei capitali, ma non è impossibile, specialmente per le imprese che operano nel commercio internazionale, portare denaro all'estero. Alla luce di questo rischio, crediamo che le autorità cinesi saranno caute prima di avviare misure di stimolo e che il governo si concentrerà ad incoraggiare i correntisti locali a riversare questi fondi nei consumi.

Conclusioni

La Cina potrebbe essere tentata di seguire la Germania e di avviare nuove misure di stimolo fiscale, ma questo potrebbe essere un azzardo se si considerano le difficoltà del suo sistema bancario. Per questo, crediamo che le autorità cinesi proseguiranno con il loro approccio pragmatico concentrato sulla crescita dei consumi domestici nel lungo periodo, che si traduce in una politica di stimolo mirato e graduale. Qualora ciò non si verifichi, sarà opportuno porre particolare attenzione alla stabilità della valuta cinese.


[1] Si veda l'indice PMI manifatturiero cinese di aprile, Bloomberg.

[2] China Central Economic Work Conference (CEWC), dicembre 2024.

[3] Working Paper del FMI, “Credit Booms – Is China Different”, Sally Chen e Joong Shik Kang, gennaio 2018; e stime di Autonomous Research / Columbia Threadneedle Investments / CEIC.

[4] Gli esempi sono numerosi: Svezia negli anni ‘80, Giappone negli anni ’90, Spagna, Irlanda e Stati Uniti negli anni 2000. Si veda anche: Working Paper del FMI “Systemic Banking Crises Revisited”, Luc Laeven e Fabian Valencia, settembre 2018.

[5] Working Paper del FMI: “Credit Booms – Is China Different”, Sally Chen e Joong Shik Kang, gennaio 2018; NBER “Growth in a time of debt” Reinhart e Rogoff, 2010; stime di Columbia Threadneedle / Autonomous Research sulle banche cinesi, settembre 2024.

[6] Stime di Columbia Threadneedle basate su relazioni societarie, 2025.

[7] Stime di Columbia Threadneedle Investments e dati di Federal Reserve statunitense / Bank of Japan / Autonomous Research, aprile 2025.

[8] China Banking and Insurance Regulatory Commission, settembre 2024. Si occupa di monitorare i prestiti a immobili commerciali e a piccole e medie imprese.

[9] Analisi di Columbia Threadneedle Investments delle relazioni societarie / Emerging Advisors Group / Autonomous Research, aprile 2025.

[10] CICS, China's Slow-Motion Financial Crisis Is Unfolding as Expected, settembre 2022.

[11] Analisi di Columbia Threadneedle Investments delle relazioni societarie / Emerging Advisors Group / Autonomous Research, aprile 2025.

[12] NBER, "The aftermath of financial crises", Carmen M. Reinhart e Kenneth S. Rogoff, 2009.

[13] Stime di Columbia Threadneedle Investments / Autonomous Research, aprile 2025.

[14] BCE, “The anatomy of a peg: lessons from China's parallel currencies”, Bahaj e Reis, ottobre 2023; Emerging Advisors Group; BIS, “The size of foreign exchange reserves”, Arslan e Cantu, dicembre 2019.

[15] US Federal Reserve, “Abandoning a currency peg”, Clement e Polansky, ottobre 2016; FMI, "China stumbles but is unlikely to fall", E Prasad, dicembre 2023.
 
 
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