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Cina: dalla Giapponizzazione alla campagna “anti-involution”: cosa c’è di diverso questa volta?

di Ji Shi, Active Equities Portfolio Manager di L&G
 
Cina: dalla Giapponizzazione alla campagna “anti-involution”: cosa c’è di diverso questa volta?
Mentre la propulsione della crescita economica cinese rallenta e le sfide strutturali si intensificano, riemerge uno spettro famigliare: la giapponizzazione.

Come in Giappone negli anni ’90, la Cina deve fare i conti con le conseguenze di una crisi immobiliare, di un debito crescente, dell’invecchiamento della popolazione e della sovrapproduzione industriale.

La storia sta per ripetersi? E la Cina sarebbe quindi destinata a decenni di stagnazione?

Parallelismi con il Giappone: debito, demografia e deflazione

Per Tokyo e Pechino condividono molti tratti socioeconomici. Entrambi hanno avuto una crescita basata sull’indebitamento: alti tassi di risparmio e prestiti accessibili hanno portato a un boom incontrollato di investimenti. Il primo è diventato l’economia più indebitata dell’Asia, mentre si stima che il debito della seconda, includendo anche gli strumenti di indebitamento locali (LGFV), abbia raggiunto nel 2023 la soglia del 117% del Pil, ben più alto del dato ufficiale fermo al 69%. Questi valori rappresentano un freno per gli investimenti e limitano la crescita.

La demografia è un altro problema. Il tasso di natalità cinese è ai suoi minimi decennali e l’urbanizzazione è ferma. Inoltre, proprio come il Giappone, la popolazione sta invecchiando velocemente. Questi trend soffocano i consumi e contribuiscono a una pressione deflazionistica persistente.

Gli eccessivi investimenti industriali, guidati anche dall’ambizione di essere autosufficiente e di dominare la manifattura globale, hanno creato una sovraproduzione. Con una domanda domestica in affanno, si intensifica la competizione, i margini di profitto si restringono e le aziende perdono la voglia - o la capacità - di rinvestire e crescere.

Una svolta strategica verso un nuovo modello di crescita

Studiare storia non significa conoscere il passato ma comprendere il cambiamento.

Seppure l’eco dell’esperienza giapponese sia innegabile, la Cina ha diversi modi per evitare un destino simile. A differenza del suo omologo d’oltre mare, infatti, può contare su una sostanziale flessibilità fiscale. Il debito pubblico si aggira ancora intorno all’88% del prodotto interno lordo, ben diverso dal 230% del Giappone: ciò significa che la Cina non ha necessariamente bisogno di tassi molto bassi per finanziare il suo debito. Le passività delle LGFV possono essere ristrutturate e le amministrazioni locali hanno tanti asset - utility, infrastrutture e tanto altro - che possono essere utilizzate per sostenere le obbligazioni.

Incoraggiante è il fatto che molte province stiano rivedendo, per la prima volta dopo decenni, le tariffe dei servizi di base come acqua, elettricità e trasporti: si tratta di un chiaro segnale che i governi locali stanno attivamente lavorando per migliorare i flussi di cassa.

Si può aggiungere che il Giappone ha faticato a individuare nuovi motori di crescita dopo lo scoppio della sua bolla immobiliare. La Cina, al contrario, mantiene ancora una crescita del Pil intorno al 5% annuo. Ed è ancora più importante il fatto che stia passando da un modello di crescita basato sulla quantità a uno incentrato sull’alta qualità.

Questo cambiamento non è solo retorico. I politici stanno dando priorità alla gestione del debito, riducendo i rischi, piuttosto che concedere ulteriori espansioni creditizie. Per la prima volta nella storia moderna, la Cina sembra disposta ad accettare una crescita più lenta ma più solida.

Si tratta di un cambiamento importante nella strategia economica del paese, che potenzialmente potrebbe rimodellarne l’apparato economico e, se attuato con successo, portare generare maggiori guadagni da nuovi ambiti produttivi. I possibili driver di crescita della Cina sembrano convincenti: intelligenza artificiale, energia verde ed ecosistemi di innovazione più ampi.

Queste sono opportunità che il Giappone non ha avuto durante gli anni della stagnazione.

Campagna “anti-involution”: è l’inizio di un nuovo capitolo?

Questa svolta segna anche l’inizio degli sforzi della Cina contro l’“involution”: è un tentativo di uscire dal ciclo di competizione eccessiva e dei rendimenti decrescenti.

I critici sostengono che questa campagna sarà inefficace, poiché le misure politiche tendono a essere di breve periodo e il sistema cinese di allocazione del capitale, guidato dallo Stato, resta inefficiente ed è improbabile che scompaia velocemente.

Queste preoccupazioni sono fondate. L’ambiente politico e normativo cinese continuerà a essere opaco e difficile da interpretare. Tuttavia, noi di L&G riteniamo che la campagna “anti-involution” faccia parte di una svolta strategica e non semplicemente di un insieme di misure amministrative temporanee; per questo motivo, sarà probabilmente più strutturale che ciclica.

Inoltre, le politiche industriali non sono una peculiarità solo cinese. A livello globale, l’allocazione del capitale guidata dagli stati è in aumento, in quanto le preoccupazioni legate alla sicurezza nazionale prevalgono sempre di più sulle logiche di mercato. In questa era post-globalizzazione e post-liberale, l’approccio della Cina potrebbe essere più allineato alle nuove norme globali di quanto si pensasse in passato.

La transizione verso un modello basato sul rischio

La fine di una crescita basata sul debito è alla base della spinta “anti-involution”. In passato, il finanziamento a basso costo e la concessione di prestiti senza una reale valutazione del rischio avevano portato alla proliferazione di progetti di bassa qualità. Le banche statali operavano sotto direttive che imponevano di concedere facilmente prestiti a tassi contenuti. Ma i regolatori stanno cambiando rotta: hanno iniziato a eliminare gradualmente la “window guidance” e a promuovere una determinazione dei tassi di interesse basata sul rischio.

È significativo che il Loan Prime Rate sia stato mantenuto stabile a settembre 2025, nonostante le aspettative di ulteriori tagli – un segnale che i regolatori riconoscono le pressioni insostenibili sui margini di guadagno bancari e si mostrano più recettivi ad un approccio orientato al rischio.

Sistemi di finanziamento più selettivi e consapevoli aiuteranno a indirizzare il capitale verso progetti di maggiore qualità. La Cina ha inoltre bisogno di un sistema finanziario multilivello, che non si limiti al solo credito bancario. I mercati dei capitali rappresentano un’alternativa valida, e i policymaker stanno ora incoraggiando un graduale spostamento del risparmio verso il mercato azionario.

Cambiamenti sono in corso anche a livello locale. Le amministrazioni locali, un tempo arricchite della vendita di terreni, ora devono investire con maggiore oculatezza. In passato, gli incentivi spingevano i funzionari a perseguire obiettivi di crescita senza considerare la qualità dei progetti, generando spesso una condizione di sovrapproduzione.

Oggi, invece, l’attenzione si concentra sulla valorizzazione degli asset esistenti e sulla selezione di progetti di alta qualità, compatibilmente con risorse più limitate. Il governo centrale ha introdotto il concetto di mercati nazionali e ha approvato leggi per salvaguardare l’iniziativa privata, smantellando reti protezioniste locali e pratiche discriminatorie. Ci vorrà tempo affinché funzionino, ma la ridefinizione delle strategie di investimento potrebbe generare benefici sul lungo periodo.

Un mercato in transizione

L’economia cinese è in fase di transizione. Anni di rapida crescita del Pil non si sono tradotti in profitti per le imprese. Ora, però, potrebbe verificarsi il contrario.

Una strategia di crescita più disciplinata e basata sulla qualità può innescare, sul lungo periodo, un aumento degli utili.
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