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BCE più prudente sul bilancio: la duration torna al centro
di Sandra Rhouma, European Economist di AllianceBernstein

Dopo dodici mesi di tagli dei tassi, per un allentamento complessivo di 200 punti base, la politica monetaria della BCE sembra arrivata a un punto di svolta. I mercati scontano la fine del ciclo espansivo e iniziano a guardare a possibili rialzi, ma non è detto che la prossima mossa sia in quella direzione.
Le recenti dichiarazioni di Christine Lagarde, “a suo agio” con un’inflazione e un tasso sui depositi entrambi al 2%, accanto al cambio di passo della politica fiscale, in particolare in Germania, da una linea di consolidamento a una di espansione, hanno alimentato le aspettative che un aumento della spesa per le infrastrutture e la difesa possa finalmente contribuire a far uscire l'economia dell'Eurozona dalla stagnazione. A nostro avviso, però, lo scenario è più complesso di quanto possa apparire in superficie.
L’allentamento fiscale tedesco non basta a sostenere l’idea di un tasso neutrale più alto. Parallelamente, infatti, le pressioni disinflazionistiche restano forti e i rischi di un’inflazione inferiore al target stanno aumentando. Per il momento, la BCE sta trascurando deviazioni temporanee dall’obiettivo, ma se queste dovessero diventare più ampie e durature, dovrà reagire secondo la propria strategia di politica monetaria.
A lungo termine vediamo un miglioramento delle prospettive per l’Eurozona: lo scenario peggiore legato ai dazi statunitensi è stato evitato, ma permangono rischi a breve termine: gli effetti completi dei dazi non sono ancora visibili, la fiducia resta debole e nodi politici, come la paralisi in Francia, frenano consumi e investimenti. Inoltre, l’inflazione dei servizi, che pesa per quasi metà del paniere dell’area Euro, è in rallentamento dopo mesi di rigidità; la dinamica salariale segue lo stesso percorso e rischia di trascinare i prezzi ancora più in basso.
Anche la nuova geografia dei flussi commerciali alimenta forze deflazionistiche. In seguito alle dinamiche tariffarie, le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti si sono ridotte drasticamente in favore di quelle dirette verso l’UE. L’Europa è così diventata il principale mercato di compensazione per l’eccesso di offerta asiatica, con un impatto diretto sui prezzi all’importazione, in calo da aprile.
A ciò si aggiunge la forza dell’euro, che quest’anno si è apprezzato di circa il 15% sul dollaro, avvicinandosi a quota 1,18. Una valuta forte riduce i costi di importazione ma erode la competitività delle esportazioni, comprimendo la domanda aggregata. Se il cambio dovesse restare su questi livelli o rafforzarsi oltre 1,20, la BCE sarà costretta a riconoscere il rischio di un’inflazione persistentemente inferiore al target, rendendo probabile almeno un ulteriore taglio dei tassi.
Per gli investitori, lo scenario apre nuove opportunità. In un contesto di possibili riduzioni dei tassi e rendimenti sotto pressione, la duration torna a essere un alleato prezioso, soprattutto nelle scadenze brevi e medie della curva, dove le decisioni della BCE hanno maggiore impatto. Per i gestori globali, la minore pressione inflazionistica in Europa rispetto ad altre economie rafforza l’interesse per gli asset europei, non solo come fonte di rendimento, ma come elemento di stabilità e diversificazione nei portafogli globali.