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Accordo commerciale USA-UE: tregua sui dazi ma incertezza alta per l’industria europea
di Francesco Leone, Senior Managing Director - Head of Italy Corporate Finance & Restructuring di FTI Consulting

Nella notte di domenica, Stati Uniti e Unione Europea hanno raggiunto un accordo per evitare l’entrata in vigore dei dazi statunitensi del 30% sulle esportazioni europee prevista per il primo agosto. Anche se ancora priva di dettagli ufficiali, l’intesa fissa al 15% la tariffa doganale sulla maggior parte dei beni europei diretti verso gli USA e prevede un impegno europeo ad investire 750 miliardi di dollari nei prossimi tre anni per acquisti strategici in energia e materiali legati alla difesa.
Si tratta di un primo passo importante, in cui il compromesso ha evitato una guerra commerciale che avrebbe avuto conseguenze inflazionistiche gravi per consumatori e imprese, ma non di un accordo risolutivo: l’incertezza resta alta.
Il nuovo accordo non eliminerà infatti la pressione sulle aziende esportatrici europee. Per alcuni beni e settori (come aeronautica, farmaci generici, materie prime critiche) si prevede un’esenzione totale dai dazi, mentre per i restanti settori l’impatto sarà immediato.
Restano infatti diversi interrogativi legati all’applicazione della nuova tariffa: per alcuni settori non è stato precisato se il 15% andrà a sostituire i dazi esistenti o se si sommerà a quelli già in vigore. Inoltre, mancano indicazioni su modalità operative e tempistiche. In queste condizioni, le aziende italiane ed europee di settori come alimentare, del vino, tessile e automotive non possono ancora stimare con precisione l’effetto reale sui costi e quindi come questo nuovo scenario impatterà sulla loro competitività nei mercati.
Il settore automobilistico è stato incluso nell’accordo: i produttori europei pagheranno il 15% invece del 27,5%. Questa riduzione attenui i costi, anche se continua a rappresentare un disincentivo competitivo rispetto ai produttori locali.
Il nuovo scenario macro, caratterizzato da un dollaro debole e da prezzi europei aumentati del 15%, rischia di rendere le auto europee meno competitive sul mercato americano. La possibilità di assorbire questo impatto varierà per segmento: nella fascia alta, dove i margini sono più ampi e il consumatore è meno sensibile al prezzo, l’effetto potrà essere in parte compensato. Nei segmenti medio-bassi, invece, l’impatto sarà più diretto e complesso da gestire.
Un altro punto cardine è l’impegno dell’UE ad acquistare LNG statunitense e altri beni strategici (petrolio, nucleare, chip avanzati). Questi acquisti, per 750 miliardi in tre anni, si affiancano a promesse di investimenti privati per 600 miliardi, che potrebbero essere impiegati in settori come difesa, auto e farmaceutica.
Gran parte di queste misure si fonda sui poteri presidenziali previsti dall’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA), ora sotto revisione della giustizia statunitense. La possibilità che i tribunali limitino questi poteri aprirebbe scenari nuovi per l’evoluzione delle tariffe.
L’accordo quadro tra Stati Uniti e Unione Europea rappresenta una tregua che evita l’escalation commerciale, ma lascia molte questioni aperte: dai dazi settoriali, alle nuove dipendenze energetiche e tecnologiche, fino alle conseguenze per la competitività delle imprese. In questa fase, per le aziende europee ed italiane è ancora prematuro ripensare alla loro strategia industriale. Al contrario, sono prioritari due fattori: il monitoraggio costante e il relativo affiancamento alle associazioni di categoria che, tramite attività di lobbying, sono in grado di portare sui tavoli governativi e comunitari le istanze dei settori impattati da questo contesto e, in secondo luogo, la comprensione approfondita del proprio mercato di riferimento e della sua capacità di assorbire i rincari.