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Acciaierie d’Italia, bando deludente e sindacati sul piede di guerra

di Redazione
 
Acciaierie d’Italia, bando deludente e sindacati sul piede di guerra
La vendita di Acciaierie d’Italia si conferma un percorso accidentato e pieno di incognite. Nessuna grande azienda siderurgica ha presentato un’offerta per l’intero gruppo, lasciando spazio soltanto a due fondi americani, Bedrock Industries e Flacks Group insieme a Steel Business Europe. Le altre otto proposte arrivate entro la scadenza del bando del 29 settembre riguardano singoli impianti, con l’interesse di player come Marcegaglia, Eusider, Renexia e Cordate miste. Una frammentazione che alimenta il timore dei sindacati di uno “spezzatino” industriale, con gravi ricadute occupazionali.

Il gruppo, ex Ilva, conta oggi oltre 10mila lavoratori in otto stabilimenti, di cui 3.800 solo a Taranto. Proprio il sito pugliese, cuore produttivo da 15 milioni di metri quadri, è il più esposto al rischio della crisi. L’acciaio prodotto serve clienti strategici come Fincantieri, Marcegaglia e Ariston, ma la produzione è ostacolata da vicende giudiziarie e dal blocco di un altoforno. La procedura di vendita, avviata in agosto con la supervisione dei commissari straordinari, dovrà ora tenere conto di due criteri decisivi: salvaguardia dei posti di lavoro e decarbonizzazione del ciclo produttivo.

Intanto lo scontro si è acceso anche sul fronte sociale. Il Ministero del Lavoro ha dato il via libera alla cassa integrazione per 4.450 dipendenti, di cui 3.803 a Taranto, senza l’accordo con i sindacati, che hanno disertato il tavolo ministeriale. Fiom, Fim e Uilm hanno definito “gravissima” la decisione, annunciando mobilitazioni e scioperi. Per i segretari Michele De Palma, Ferdinando Uliano e Rocco Palombella, il quadro è quello di un “fallimento totale” che certifica l’assenza di un’offerta industriale credibile e il rischio concreto di smembramento.

Il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha riconosciuto le difficoltà, ribadendo però la volontà di puntare su un polo unitario e sulla decarbonizzazione. Resta irrisolta la frattura tra i due soci della società, ArcelorMittal (62%) e Invitalia (38%), da mesi divisi sull’apporto di nuove risorse. I commissari straordinari hanno ribadito che esamineranno tutte le proposte, inclusi eventuali nuovi ingressi, ma la mancanza di grandi operatori industriali pone un interrogativo pesante sul futuro del più grande impianto siderurgico d’Europa.

I sindacati chiedono un confronto diretto a Palazzo Chigi e non escludono la richiesta di una nazionalizzazione, ritenuta l’unica strada per garantire occupazione e rilancio. Intanto nelle fabbriche cresce l’inquietudine.
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