Innovation

AI, entro il 2030 serviranno 500 miliardi l’anno per i data center

di Redazione
 
AI, entro il 2030 serviranno 500 miliardi l’anno per i data center
La rivoluzione dell’intelligenza artificiale accelera, e la sfida non è più solo tecnologica ma infrastrutturale. Secondo la sesta edizione del Global Technology Report di Bain & Company, entro il 2030 il fabbisogno di potenza computazionale necessario a sostenere i modelli di AI più avanzati raggiungerà quota 200 gigawatt, la metà dei quali concentrati negli Stati Uniti. Un’esigenza titanica che si tradurrà in investimenti da 500 miliardi di dollari all’anno in nuovi data center, con effetti dirompenti su reti energetiche, modelli di business e strategie di investimento globali.

Le reti elettriche, abituate da due decenni a consumi quasi stabili, si trovano ora di fronte a una crescita esplosiva della domanda. Secondo Bain, con gli attuali rapporti tra spese e ricavi nel cloud, servirebbero 2.000 miliardi di dollari di fatturato annuo per sostenere la costruzione di nuove infrastrutture. Anche ipotizzando un trasferimento integrale dei budget IT aziendali verso il cloud e il reinvestimento dei risparmi ottenuti dall’uso dell’AI, stimati intorno al 20% dei costi in vendite, marketing e ricerca, resterebbe un gap di 800 miliardi di dollari l’anno.

“L’AI sta mettendo sotto pressione le catene di approvvigionamento a livello globale”, spiega Mauro Colopi, partner e responsabile italiano Technology, Media and Telecommunications di Bain & Company. “Entro il 2030 i leader tecnologici dovranno trovare soluzioni sostenibili per una domanda in crescita esponenziale”. Il rischio, come avverte Antonio Travaglini, senior partner e responsabile globale Gaming, è di incappare in un dilemma di investimento: “Chi punta troppo rischia di ritrovarsi con capacità inutilizzata, chi investe poco rischia di non avere risorse per cavalcare l’ondata”.

Il quadro competitivo si fa sempre più articolato. I colossi del tech, abituati a trasformare le minacce in opportunità, si trovano ora in un’arena che coinvolge infrastrutture, modelli, applicazioni e dispositivi. L’ascesa dell’Agentic AI, i progressi nel quantum computing e le tensioni geopolitiche impongono una flessibilità inedita. Le prime cinque aziende tecnologiche rappresentano ormai oltre il 70% del valore del settore, ma nuove realtà emergenti stanno attirando capitali e attenzione. “L’impatto dell’AI è più profondo di quello del cloud, sottolinea Colopi. Le soluzioni SaaS dovranno essere ripensate dalle fondamenta”.

Alcune società già traggono vantaggio dalla nuova ondata, con incrementi dell’EBITDA compresi tra il 10 e il 25% negli ultimi due anni. Ma la maggior parte delle imprese è ancora in fase sperimentale. Le più dinamiche destinano fino al 10% del budget IT alla costruzione di capacità fondamentali per l’intelligenza artificiale, incluse piattaforme di agenti autonomi e infrastrutture di dati dedicate.

Nonostante un rallentamento delle operazioni di deal-making tecnologico dopo un brillante avvio del 2025, il comparto mostra una resilienza superiore ad altri settori, mantenendo una quota del 22% sulle transazioni globali. Tuttavia, l’“età dell’oro” dei ricavi facili nel software sembra avviarsi al termine. La crescita richiede ora efficienza operativa e nuove fonti di valore, non più soltanto buone idee digitali.

La geografia dell’AI, intanto, si frammenta. In Cina prevale il controllo statale della catena del valore. In Europa la priorità è la sovranità dei dati, mentre in Medio Oriente l’obiettivo è integrarsi nell’ecosistema globale. “Ogni mercato - conclude Travaglini - richiede adattamenti specifici in termini di modelli, infrastrutture e governance. La definizione di AI responsabile non è universale, ma riflette differenze politiche e culturali”.

In un decennio che vedrà la potenza computazionale diventare il nuovo petrolio, il successo non sarà di chi ha più risorse, ma di chi saprà usarle meglio, un equilibrio tra ambizione tecnologica, sostenibilità e visione strategica.
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